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I primi 3 CAPITOLI

  • Immagine del redattore: Julek
    Julek
  • 27 giu 2022
  • Tempo di lettura: 9 min

Aggiornamento: 2 giorni fa




CAPITOLO 1 - MERCOLEDÌ


Al suono della campanella, i ragazzi si riversarono urlando fuori dalle aule. Thomas, seduto vicino alla porta, afferrò lo zaino già pronto ai piedi del banco e scattò in piedi, riuscendo a essere il primo a uscire. Nonostante fosse proibito correre nei corridoi, si precipitò verso le scale prima che la folla di studenti confluisse fuori dalle rispettive aule e gli facesse perdere tempo prezioso.

Con lo sguardo fisso a terra per non inciampare e le mani strette al corrimano, si affrettò a scendere nell'enorme atrio della scuola. Se tutto fosse andato bene, la libertà era a portata di mano, bastava solo varcare il portone. 

L'edificio scolastico era una costruzione moderna su due piani che ospitava sia il liceo linguistico che l'istituto tecnico con indirizzo elettronico. Le aule erano condivise tra gli studenti delle due scuole secondo un calendario ben organizzato, e spesso era necessario cambiare classe alla fine di ogni lezione.

Per Thomas, studente del primo anno del liceo scientifico, questi spostamenti erano fonte di costante tormento. Ogni cambio d'ora si trasformava in una prova da superare, sotto gli sguardi indifferenti di professori e compagni. Era come attraversare un bosco pieno di belve feroci. In realtà, le "bestie" erano solo due studenti di terza.

Durante i normali cambi d'ora, gli spostamenti erano brevi. Non era necessario essere il primo a uscire, anzi, poteva essere vantaggioso mescolarsi ai compagni o addirittura essere l'ultimo. Thomas studiava attentamente la folla nei corridoi prima di unirsi alla calca, cercando di passare inosservato. Ma nonostante tutte le precauzioni, i suoi "angeli custodi" - come si definivano quei due - riuscivano talvolta a individuarlo.

Alla fine delle lezioni la situazione era più critica. L'ultima ora si svolgeva al secondo piano, nel corridoio più lontano dall'uscita, costringendolo ad attraversare l'intera scuola. Era una questione di secondi: se fosse riuscito a raggiungere il portone prima che i due uscissero dalla loro classe al piano terra, sarebbe stato salvo.

Quel giorno era stato particolarmente veloce e aveva incontrato pochi studenti sulle scale. Saltò gli ultimi quattro gradini fino al pianerottolo dell'ammezzato e si apprestò a scendere l'ultima rampa. Si trovò davanti due ragazze che occupavano tutto lo spazio disponibile.

"Scusate!" gridò, infilandosi tra loro. Le ragazze, colte di sorpresa, rischiarono di perdere l'equilibrio. Una lasciò cadere il cellulare mentre si aggrappava alla balaustra, ma Thomas, concentrato sulla sua fuga, non se ne accorse.

L'atrio era già affollato di studenti delle classi al piano terra. "Che fortunati", pensò Thomas. Se anche lui avesse avuto l'ultima ora al piano terra, sarebbe potuto uscire tranquillamente, senza rischiare rimproveri per le sue corse spericolate.

Non temeva tanto le ramanzine o le minacce di note sul registro. Il vero problema era che un ritardo gli avrebbe impedito di evitare i due "angeli", che di solito sostavano davanti alla scuola ad aspettare alcuni amici di quinta. L'alternativa era nascondersi in un angolo dell'atrio finché non se ne fossero andati, ma i bidelli, desiderosi di chiudere il portone, spingevano fuori i ritardatari. Uscire a quel punto sarebbe stato come affrontare un plotone d’esecuzione. Senza contare le spiegazioni che avrebbe dovuto dare a sua madre che lo aspettava in auto di fronte al cancello della scuola. Non era assolutamente il caso di farle sapere che era una delle vittime dei "due angeli”.

Thomas non era alto anzi, era piuttosto piccolo per la sua età. Gli occhiali gli davano l'aria del bravo ragazzo un po' sfigato, e l'acne sul volto insieme a una leggera balbuzie non miglioravano la situazione. Tuttavia, era agile e aveva un ottimo equilibrio, qualità che gli permettevano di destreggiarsi rapidamente tra la folla, ignorando proteste e lamentele di chi urtava nel suo tentativo di raggiungere la salvezza.

Mancavano solo due passi per essere libero, quando il gelo lo avvolse. Due mani si posarono sulle sue spalle facendolo sussultare. Non provò nemmeno a liberarsi. Non c'era via di scampo. Si irrigidì e, sconfitto, abbassò le spalle. 

Era stato tutto inutile. 

Con rassegnata consapevolezza, si preparò al supplizio che lo attendeva.

In quei momenti, ciò che più lo irritava era l'indifferenza di suo cugino Mattia, suo compagno di banco e di giochi. Nonostante avessero la stessa età, Mattia, pur essendo più alto e robusto, aveva  sempre avuto paura di tutto. Non era grasso, ma semplicemente ben piantato e muscoloso. Da poco era entrato a far parte della squadra di calcio del paese e il suo comportamento era cambiato, diventando più sicuro di se.

Nessuno dei due aveva legato molto con gli altri compagni di classe. Se ne stavano spesso per i fatti loro, tranne durante i cambi di classe. In quei momenti, anche se non c’era necessità, poiché i due “angeli” avevano preso di mira lui e non il cugino, Mattia correva sempre ai bagni adducendo urgenti necessità, rientrando all'ultimo momento. Thomas, invece, preferiva non nascondersi: riteneva che essere catturato in bagno potesse essere ancora più pericoloso. Non che subire le angherie di quei due tormentatori davanti a tutta la scuola non lo fosse, ma c'era un limite anche a quello. Non era né coraggio né incoscienza: semplicemente, anche se sottomesso fisicamente, aveva deciso di mantenere un contegno che preservasse la sua dignità, sopportando in silenzio e cercando, quando possibile, di non mostrare alcun segno di sofferenza.



CAPITOLO 2


"Ehi! Frocetto, dove vai così di fretta? Non saluti i tuoi angeli custodi?"

La voce di Lorenzo era un sussurro alitato sibilante nell'orecchio di Thomas, come se volesse condividere con lui una confidenza. Poi, puntuale, arrivò il colpo secco sulla nuca.

Alto, biondo, sedici anni, un fisico da atleta, Lorenzo lo sovrastava. Sorridendo, gli cinse le spalle con un braccio in modo confidenziale, in un gesto apparentemente amichevole, ma carico di minaccia. Al suo fianco Stefano, alto quanto lui, ma con capelli lisci e scuri, era il degno compagno di scorribande. Con un ghigno beffardo, gli si mise di fronte, bloccando ogni via di fuga.

"Che ti succede? Come mai non riesci a stare in piedi?" chiese Lorenzo, spingendolo. Thomas, nel tentativo di mantenere l'equilibrio, spostò una gamba in avanti, dove trovò quella tesa di Stefano. Mentre barcollava, Lorenzo lo afferrò per i capelli e il braccio, impedendogli di cadere.

"Ehi, stai attento! Per fortuna siamo qui a darti una mano!"

"Che ragazzo fortunato che sei," aggiunse Stefano, colpendolo con una ginocchiata alla coscia. "Se non ci fossimo stati noi, saresti caduto e ti saresti fatto male proprio qui."

Thomas sentì una fitta fortissima nel punto in cui era stato colpito. Strinse i denti, soffocando un grido di dolore. La stretta di Lorenzo intorno al collo si fece più forte mentre le sue nocche premevano sulla testa di Thomas come per inciderla. Questa volta non riuscì a trattenere un gemito.

"Shhhh!" sibilò Stefano con sarcasmo. "Non vorrai mica che qualcuno pensi che ti facciamo del male, vero?"

"Lasciatelo stare!"

I due aggressori si voltarono, scambiandosi uno sguardo complice prima di individuare la fonte di quell'interruzione. La sorpresa si dipinse sui loro volti e su quello di Thomas nel vedere Mattia. Il cugino era intervenuto con voce tremante, un balbettio confuso appena udibile. Thomas, stupito dall'inaspettato atto di coraggio, perse l'attimo propizio per liberarsi dalla presa di Lorenzo.

Stefano e Lorenzo scoppiarono in una risata simultanea.

Thomas era sorpreso dall'atto di coraggio di Mattia. Non se lo aspettava, solitamente la grossa corporatura del cugino era efficace con i suoi compagni di classe più facinorosi o con i bulli fuori dalla scuola. Con i ragazzi grandi o anche con quelli della sua stazza, lui spariva. Da quando avevano cominciato a tormentarlo, cioè dall'inizio dell'anno scolastico, il cugino non aveva mai preso le sue difese.

Gli "angeli" assunsero un'espressione feroce. Lorenzo strinse ulteriormente la presa sul collo di Thomas, quasi soffocandolo. Impotente, Thomas fece l’unica cosa che gli permetteva la situazione in cui era costretto, si rifugiò nella sua immaginazione: chiuse gli occhi e visualizzò un fulmine che, squarciando il cielo, riduceva i due tormentatori in polvere.

Una strattonata e una fitta di dolore al collo lo riportarono bruscamente alla realtà.

"Smettetela di giocare e venite con me immediatamente!"

La voce apparteneva a Federica, loro coetanea. Non particolarmente alta, aveva lineamenti decisi incorniciati da una cascata di capelli ondulati che le scendevano oltre le spalle. Uscì dal portone senza degnarli di uno sguardo.

"Andiamo!" ordinò Lorenzo, liberando Thomas dalla sua presa.

Stefano si avvicinò al viso di Thomas, puntandogli contro l'indice. "Ci si vede, ma non finisce qui, frocetto. Noi quelli come te, in questa scuola non li vogliamo!"

"Io non sono fro... Gay! Come ve lo devo dire?"

I due, correndo velocemente fuori dal portone, non mostrarono di aver sentito e le parole di Thomas, si smarrirono tra i richiami e l’allegro vociare degli studenti che si stavano riversando nel cortile della scuola.


CAPITOLO 3


Linda, Laureen e Domenico raggiunsero i due cugini mentre si avvicinavano al cancello. Abitavano tutti a San Martino sull'Iseo, un paese di settecento anime a dieci minuti di corriera dalla città. Linda e Domenico frequentavano la terza C, la stessa classe dei due "angeli", mentre Laureen era più grande. A giugno per lei ci sarebbe stata la maturità. A differenza degli altri ragazzi che prendevano la corriera, Mattia e Thomas venivano accompagnati in macchina, solitamente dalla madre di Thomas.

"Mattia, riesci a venire agli allenamenti oggi? È molto importante!" Il richiamo era stato di Linda, che era la presidente della squadra di calcio del paese.

"Spero che qualcuno mi possa accompagnare al campo. I miei hanno sempre molto da fare," rispose Mattia esitante.

"Se vuoi, posso venirti a prendere con la mia Ape Car," si offrì Domenico. "In due ci stiamo. Al massimo ti metti nel cassone dietro."

"Non ci pensare nemmeno, mia madre non me lo permetterebbe mai!"

"Thomas, dovresti venire a giocare anche tu," suggerì Domenico. "Se entrasti anche tu in squadra, forse i vostri genitori avrebbero meno problemi ad accompagnarvi."

"Non... non mi piace il calcio," confessò Thomas.

"Forse quei due bulli pensano che tu sia gay proprio perché non ti piace il calcio," lo punzecchiò Domenico ridendo.

"Non esiste solo il calcio e non sono gay!" protestò Thomas.

"Che sport ti piace, allora?" chiese incuriosito Domenico.

Prima che Thomas potesse rispondere, Mattia lo afferrò per un braccio, trascinandolo via. "Andiamo Thomas, se no zia si arrabbia!"

Linda si parò davanti a loro. "Mattia, non puoi fare solo un allenamento a settimana. Sei bravo e la tua presenza è importante, ma le regole valgono per tutti. Niente allenamenti, niente partita."

"Farò di tutto per esserci," promise il ragazzo.

"Alessandro è molto in forma e viene a tutti gli allenamenti. Dovrò inserire lui se non vieni."

"Cercherò di esserci," ripeté Mattia prima di correre con Thomas verso la Fiat Panda verde che li attendeva sulla strada principale.

"Sono già scappati?" Andrea si avvicinò al gruppo insieme a Celeste e Annalisa. Frequentavano tutti la prima D del Liceo. Annalisa, dopo un timido saluto, si diresse verso la baracchina.

Il complesso scolastico sorgeva nella zona periferica della città, in un quartiere residenziale verdeggiante. Il cortile retrostante si fondeva naturalmente con il parco cittadino, mentre l'entrata si affacciava su una piazzetta quasi interamente pedonale. Di fianco all'istituto superiore , separato da un’alta recinzione, si trovavano le scuole medie ed elementari. Al centro della piazza, su un marciapiede rialzato, un chiosco di bibite e panini:  la “baracchina”,  era il punto di ritrovo preferito degli studenti, famoso anche per i suoi gelati.

"Io non ce la farei mai con dei genitori così. Li manderei a ca…"

"Andrea!" lo interruppe Celeste. "Non serve specificare."

"Ma non vedi come li trattano? Anche al paese, li vedi mai al parco? Li tengono isolati. Di cosa hanno paura?"

"Non è un problema che ci riguarda," tagliò corto Celeste. "Che ne dite di un gelato?"

"Per sentire quelli che ci sfottono?" protestò Laureen.

"Dai, che te ne frega?" insistette Domenico. "C'è anche la tua amica Nicole. Tu che ne dici, Linda?"

"Io ci sto. Prendiamo la corriera delle 14:30. Va bene anche per Celeste, vero?" chiese Andrea.

"Gradirei decidere da sola, Andrea!" obiettò piccata Celeste, prima di ammorbidirsi. "Comunque si può fare."

Linda, però, non ascoltava più. Il suo sguardo seguiva Annalisa che aveva raggiunto il gruppo alla baracchina, sistemandosi in disparte con il cellulare in mano. Solo Teo e Nicole la salutarono, mentre Lorenzo e Stefano erano troppo presi a discutere probabilmente della prossima partita di campionato con Federica e sorella di Annalisa. 

Federica era presidente del Pontevecchio, squadra che militava nello stesso campionato del San Martino. Le due squadre, tra le diciotto partecipanti, rappresentavano rispettivamente la città e il piccolo comune limitrofo. Il San Martino, storicamente fanalino di coda del torneo, negli anni passati, era stato oggetto di scherno, specialmente da parte del Pontevecchio che invece lottava sempre per il primato.

Da quando Linda aveva assunto la presidenza, però, le cose erano cambiate. Con pazienza e determinazione, aveva trasformato un gruppo di ragazzi "scalcagnati" in una squadra competitiva, ora in testa alla classifica con un solo punto di vantaggio rispetto alla Pontevecchio. La domenica seguente, nell'ultima partita di campionato, lo scontro diretto San Martino-Pontevecchio avrebbe decretato la squadra campione.

Federica aveva preso le redini del Pontevecchio lo stesso anno, secondo molti proprio per emularla. La sua gestione era più autoritaria: oltre che presidente fungeva da allenatrice-motivatrice, dirigendo la squadra con polso militaresco. Si diceva che ogni voce di dissenso venisse sedata da Stefano e Lorenzo, il suo "braccio armato".

Linda e Federica si conoscevano dall'asilo e ora si ritrovavano nella stessa classe, ma sedevano distanti e si parlavano solo se necessario. Quando questo succedeva, spesso finivano per litigare. Tutti sapevano che un tempo erano state più che amiche. Tutto era cambiato quando...

"Ehi, Linda, che fai? Vieni?" La voce di Domenico la strappò dalle sue riflessioni.

“Eccomi!"


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Ospite
02 nov 2023
Valutazione 5 stelle su 5.

Molto interessante

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